Santissimo Corpo e Sangue di Cristo, solennità

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 6,51-58
In quel tempo, Gesù disse alla folla dei Giudei: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Gesù disse: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno.
Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui.
Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me.
Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

“Ricordati di tutto il cammino”; non “dimenticare il Signore, tuo Dio, che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto” (Dt 8,14), sono due imperativi che reggono tutto il libro del Deuteronomio, dal quale è stata tolta la prima lettura di oggi. Per Israele è importante non dimenticare che è il popolo di Dio. E’ importante ricordare quella vicenda che Dio gli ha fatto vivere nella storia per trasformarlo da popolo di schiavi in comunità di sacerdoti.

Per poter cogliere una delle profondità del mistero dell’Eucaristia è importante questo “ricordare” di Israele che si chiama “memoriale”.

Il memoriale ebraico non comincia solo dopo che il popolo ha passato il Mar Rosso, ma già prima, nella cena pasquale dell’agnello, nel rito del segnare le porte col sangue dell’agnello e nel mangiare tutti quell’agnello; perché in seguito, si ricorderà l’evento della liberazione proprio ripetendo quello stesso rito, gli stessi gesti (Giraudo).

 

Quando il popolo era ancora in Egitto, quell’ultima sera prima di uscire, aveva vissuto la sua ultima cena e in quel rito è stato come se già avesse passato il mare, se già avesse un piede fuori dell’Egitto. Quel sangue che il Signore aveva chiesto di porre sugli stipiti diceva che gli israeliti non erano più schiavi del faraone ma appartenevano al Signore: Egli li aveva segnati per sé e li proteggeva dallo sterminatore. Quindi, nel segno dell’agnello pasquale Israele aveva già passato il mare. Era già sceso nelle acque di morte che fanno finire la schiavitù ed era come già risalito dalle acque di vita che segnavano l’inizio di un popolo nuovo che Dio aveva riscattato per sé.

Però, dopo aver passato realmente il mare, Israele torna ad aver nostalgia dell’Egitto, di quello che là aveva lasciato. Dio gli dà l’acqua dalla roccia, la manna nel deserto, ma spesso il popolo si ritrova con un cuore da schiavo, come in Egitto. Allora, che fare?

Non può tornare indietro e passare un’altra volta il mare. Anche quelli che nasceranno dopo e non avranno passato il mare, come faranno a considerarsi salvati, redenti dal Dio dei loro padri?

L’agnello pasquale, che prima del passaggio lo aveva anticipato ritualmente, diventerà il mezzo attraverso il quale poter rivivere in prima persona quel passaggio attraverso le acque.

 

Questa stessa realtà del memoriale Gesù l’ha usata per farci partecipare, attraverso il suo corpo e il suo sangue, alla liberazione dalla schiavitù del peccato e della morte che è avvenuta nella sua Pasqua.

Anche Gesù, prima di entrare nelle acque di morte della passione e prima di risalire dalle acque di vita della risurrezione, ha anticipato ritualmente quell’evento. Ha dato il suo sangue: “Questo è il mio sangue dell’alleanza versato per voi e per tutti in remissione dei peccati”. Non sugli stipiti e gli architravi delle case, come il sangue dell’agnello, ma versato per tutti, per riscattare comunque tutti dalla schiavitù del faraone (il diavolo).

Non le carni dell’agnello pasquale, ma la sua carne data per la vita del mondo:  ” Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Gv 6,37) Non la manna, ma la sua vita data per far vivere noi “I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia”

Non basta che Egli la dia, bisogna che gli apostoli e tutti quelli delle generazioni che verranno, e ciascuno di noi ne mangi per poter entrare con Lui nelle acque di morte e risalire alla vita da risorti.

“Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna, perché la mia carne è vero cibo, il mio sangue vera bevanda.”

Il primo passaggio nella Pasqua di Cristo è avvenuto per noi con il Battesimo (là abbiamo passato il mare), però anche per noi come per gli Israeliti, dopo un po’ dal passaggio del mare il fascino di Faraone si fa ancora sentire; la vita da liberi figli di Dio non è senza ostacoli. Allora come fare?

Non si può tornare a passare il mare, ma c’è l’Eucaristia che ci permette in ogni momento di ripresentarci là a quell’evento che ci ha salvati.

 

Questo guardare l’Eucaristia come memoriale ci dà una luce nuova sulla festa del Corpus Domini. Di solito questa festa si celebra portando con solennità Gesù-Eucaristia per le strade, attraverso i paesi, tra i luoghi dove la gente vive: cioè Gesù viene a noi attraverso lo spazio, nei luoghi in cui viviamo tutti i giorni.

Ma l’Eucaristia memoriale ci permette anche un’altra processione, attraverso il tempo, oltre il tempo. Una processione in cui con i piedi della fede noi riandiamo là, in quell’ora in cui attraverso il corpo di Gesù dato e il suo sangue versato si è compiuta la nostra salvezza. Tutto quello che ci è accaduto e ci accade possiamo portarlo là e farlo incontrare con quell’evento:  allora diventa storia di salvezza.

“Ricordati”, “Non dimenticare” non è solo un’operazione di memoria, questi imperativi che abbiamo trovato nella prima lettura, appartengono alla categoria della processione-pellegrinaggio nel tempo.

Ci sono momenti della nostra vita che si vorrebbero proprio dimenticare, perché in quei momenti non ci sembrava di vedere che il Signore ci fosse vicino…

Eppure Gesù si è immerso per noi anche nelle acque della paura, dell’essere tradito, del sentirsi solo, per poter abitare con noi quei momenti e per condurci fuori. Per farci attraversare quel tempo come un deserto e condurci alla vita, alla pienezza della Vita in Lui. “La mia carne è vero cibo, il mio sangue vera bevanda”. Solo sostenuti e nutriti si può attraversare il deserto.

Possiamo allora concludere con la preghiera di colletta: Dio fedele, che nutri il tuo popolo con amore di Padre, fa che, sostenuti dal sacramento del Corpo e del Sangue di Cristo, compiamo il viaggio della nostra vita fino ad entrare nella gioia dei santi, tuoi convitati alla mensa del Regno.
Monache Benedettine Monastero SS. Salvatore Grandate