2 giugno 2025
Follia. Pazzia. Spesso il nostro immaginario si veste di colori foschi, quando sentiamo narrare fatti di cronaca che ruotano attorno ai meandri misteriosi della mente umana. Omicidi, suicidi, aggressioni, violenze che vengono ricollegare magari anche in sede processuale, alla cosiddetta “infermità mentale”.
Ma, ben oltre questi fatti estremi, c’è la sofferenza quotidiana di tanti che vivono in prima persona la malattia mentale e di chi condivide con loro la casa, gli affetti, la vita. Quando incontriamo queste persone facciamo un po’ fatica a liberarci dallo stereotipo del “matto” che si crede Napoleone. E allora, quasi invogliati a buttarla sul comico, non riusciamo a capire fino in fondo il dramma, che spesso diventa tragedia. Ci lasciamo andare alle solite considerazioni e ai soliti consigli ( “non ti manca niente” , “guarda quelli che hanno veri problemi”, “cerca di darti una mossa”), che aggravano la frustrazione, il senso di inadeguatezza e la disperazione di chi, invece, non riesce proprio a uscire dalla propria situazione.
Il disagio mentale non è accolto nè capito, a differenza delle problematiche fisiche. La compassione che si ha verso chi giace in letto perché è malato di cancro non la si ha verso chi giace in un letto perché la depressione gli impedisce di alzarsi. Siamo davvero di fronte ai misteri più profondi dell’essere umano, quelli che toccano la sua mente, la sua anima. Siamo inadeguati, non riusciamo a capire. E facciamo fatica anche a capire la fatica di chi vive accanto a queste persone, la tensione continua, il terribile senso di impotenza, la sensazione di essere lasciati soli a gestire ciò che non è gestibile senza adeguati supporti medici e sociali.
Gesù ha combattuto anche contro questo tipo di sofferenza: alcuni suoi miracoli sono decisamente riconducibili a guarigioni da malattie mentali. Noi non siamo Gesù. Però possiamo provare, come il Samaritano, a versare olio e vino sulle ferite del prossimo. Anche sulle ferite dell’anima.
don Roberto