21 luglio 2025
“Fratelli, sta scritto: non ammazzare. Non macchiatevi le mani di sangue. Non ascoltate la tentazione della vendetta. Non siate i figli di Caino”.
Sono alcune parole dell’ultima omelia di don Giuseppe Jemmi, ventiseienne vice parroco di Felina, in provincia di Reggio Emilia, ucciso dai partigiani il 19 aprile 1945. Queste parole le ha pronunciate ai funerali di due giovani della parrocchia fucilati dai partigiani perché accusati di aver collaborato con i nazifascisti. E il ministero di don Giuseppe si era qualificato per una continua opera di mediazione tra gli uni e gli altri, allo scopo di evitare le rappresaglie, che avrebbero coinvolto anche persone innocenti. Queste trattative anche con i nazifascisti lo avevano messo, però, in cattiva luce con i comandi partigiani.
Minacce continue facevano pensare ad un tragico epilogo, al punto che don Giuseppe stesso scriveva a un amico, il quale lo invitava ad allontanarsi dalla parrocchia, in attesa di tempi migliori: “Quando parlo dall’altare non ho paura di nessuno. Chiedo al Signore di liberarmi dal coniglismo. Credi che uccideranno anche me? Ebbene, vuol dire che sconterò qui il mio Purgatorio. E voi pregherete per me”.
Il coniglismo. Nascondersi, far finta di niente, lasciare che il male continui a operare, non prendere mai posizione a favore del bene. Salvo, poi, parlare, giudicare, disprezzare, sotto traccia, ovviamente. Un sistema alla “don Abbondio “, per intenderci.
Un sistema purtroppo diffuso, anche in tanti ambienti ecclesiali. Un sistema nel quale si guarda al proprio tornaconto personale, alla considerazione dei potenti, alle possibilità di carriera. Un sistema fatto di prudenza e passi felpati, che non urti le orecchie di chi sta in alto, che si ritrova spesso con un odorato avvezzo ai peggiori miasmi ma con l’udito capace irritarsi davanti a suoni che non siano flautati e pieni di lodi. Signore, liberaci dal coniglismo. Anche se dovremo fare qui un po’ di Purgatorio .
don Roberto