29 settembre 2025
Un piccolo imprenditore, un’azienda di famiglia che vede impiegati il padre e i due figli. Lavoratori che conoscono il significato della fatica, del sudore, del pericolo (le tempeste sul lago di Tiberiade sono, ancora oggi, improvvise e violente). Persone abituate ai sacrifici. Gesù entra nella vita di Giacomo proprio durante il lavoro, sulla riva del lago. Gesù entra così anche nella nostra vita: la quotidianità è il luogo della Sua presenza, è inutile aspettarsi interventi straordinari, miracoli e scenografie grandiose. Gesù arriva e chiama, invita a seguirlo. E Giacomo non si tira indietro, lascia la barca e il padre e va con Gesù. Certo, non aveva ancora capito tutto, del Maestro. Come tutti gli altri, aveva di Lui un concetto umano, terreno venato di ricerca del prestigio, anche del potere. Una fede che fa chiedere, nella preghiera, la salute e il benessere economico, niente di più. Una fede come quella che hanno praticamente tutti.
Giacomo accompagna Gesù in alcuni momenti fondamentali: è con Lui sul monte Tabor, testimone della Trasfigurazione, ed è con Lui nel Getsemani, quando non riesce a vincere il sonno per sostenere il Signore nella lotta finale. Non è comunque uno degli apostoli più citati, in seguito. Il suo stesso martirio (il primo apostolo che muore per opera dei persecutori) è risolto in poche, asciutte parole. È umile, Giacomo. È capace di morire per Gesù, ma lontano dai riflettori che, pure, avrebbero avuto un senso, vista la sua posizione privilegiata. Con suo fratello Giovanni, aveva ricevuto un nome nuovo da Gesù: ” boanerghes “, figli del tuono. Dare il nome significava avere un rapporto tutto particolare con quella persona, un rapporto di assoluta signoria. Gesù è stato davvero il Signore di Giacomo. Fino al sacrificio supremo.
don Roberto