11 ottobre 2021
Negli 80 e 90 del secolo scorso tutti gli osservatori di cose ecclesiali concordavano nell’affermare che il futuro del Cattolicesimo sarebbe stato in America latina.
La Chiesa cattolica, a quelle latitudini, cresceva grazie al fatto, dicevano i suddetti osservatori, che si era presa a cuore la sorte degli oppressi, dei poveri, dei diseredati che in quei luoghi costituivano la stragrande maggioranza della popolazione. Ma già alla fine degli anni 90 si doveva constatare un lieve raffreddamento della spinta, che divenne una vera e propria regressione, oggi in continuo aumento. Si calcola, infatti, che in trent’anni i cattolici in America latina siano diminuiti quasi del 50%!
Come mai? La risposta è drammaticamente semplice: milioni di persone hanno preferito entrare a far parte di una miriade di gruppi protestanti, particolarmente pentecostali. Gruppi che, per la maggior parte, annunciano entusiasticamente il cosiddetto “vangelo della prosperità” e, quindi, pongono il benessere materiale come obiettivo primario della fede in Gesù, forti delle parole stesse del Maestro quando promette a coloro che lo seguono “il centuplo quaggiù e la vita eterna”.
Può venir facile a noi cattolici biasimare un atteggiamento del genere e guardare inorriditi a masse che abbandonano la nostra Chiesa attirate dall’idea che star bene materialmente sia un ideale strettamente evangelico. Ma, se ci pensiamo bene, quale alternativa proponiamo e ci sforziamo di vivere? Quella di una religione del dovere, del sacrificio e della sofferenza, con la croce come fardello pesante da portare ogni giorno sulle nostre fragili spalle, e la ricerca di quello che non ci piace come realizzazione del perfetto discepolo di Gesù. Il tutto reso plasticamente in celebrazioni spesso tristissime, lugubri, nelle quali la gioia è necessariamente una dimensione interiore di chi partecipa perchè purtroppo non la si può trovare in nessun atto esteriore.
Annunciare Gesù in modo gioioso non è un dettaglio poco significativo: fa parte dell’essenza stessa del Cristianesimo. Proporre una vita migliore e più serena, nella quale godere delle cose belle che Dio ci dona, non è un peccato mortale, almeno fino a quando non diventa chiusura egoistica nella ricerca del proprio esclusivo benessere.
Essere felici e aiutare gli altri a esserlo: è un ideale così lontano dal Vangelo? Oppure dal Vangelo rischiano di allontanarsi coloro che predicano un Gesù triste, morto soffrendo e che si è dimenticato di risorgere? Forse non tutta la vita potrà essere piena di prosperità, ma almeno qualche momento di profonda serenità vogliamo tentare di procurarcelo? Ecco, possiamo chiamarla serenità invece di prosperità, ma il risultato finale è scoprire che Dio ci vuole felici.
don Roberto