Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 14,15-16.23b-26.
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osservate i miei comandamenti.
Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre,
Gli rispose Gesù: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui.
Chi non mi ama non osserva le mie parole; la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Queste cose vi ho detto quando ero ancora tra voi.
Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v’insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».
La domenica di Pentecoste chiude il tempo pasquale e anche la celebrazione dei misteri inerenti alla
salvezza operata da Cristo, iniziata con l’Incarnazione (Natale), proseguita con la Passione, Morte e
Risurrezione (Triduo pasquale), con il ritorno al Padre (Ascensione) e infine con l’invio dello
Spirito Santo (Pentecoste). Questa salvezza realizzata nel tempo 2000 anni fa, diventa viva e
operante negli uomini d’oggi per opera dello Spirito del Risorto, ecco in estrema sintesi, il senso e
l’importanza dell’odierna solennità.
Gesù nei discorsi dell’ultima cena parla ampiamente dello Spirito che chiama Paraclito, termine che
contiene il significato di avvocato, aiuto, difensore, protettore, consolatore, e nel brano odierno del
vangelo di Giovanni assicura che egli viene per rimanere con noi per sempre, ma ad una condizione.
Occorre amare il Signore e osservare i suoi comandamenti; non quindi un amore fatto di parole,
sospiri e baci, ma di scelte e gesti concreti perché si ama con la vita. Amare in questo modo attira
anche il Padre che con Gesù viene ad abitare in noi stabilendo una relazione d’intimità e così
possiamo dare del Tu a Dio perché egli è con noi, in noi, per noi e questa è la salvezza che, seppure
in forma imperfetta si realizza qui, nel già, ma non ancora e avrà il suo compimento nella
comunione eterna quando vedremo il suo volto. Al Paraclito Gesù attribuisce poi la funzione di
insegnare e di ricordare quanto lui ha detto agli apostoli mentre era con loro, è quindi il maestro
interiore che fa capire e gustare gli insegnamenti uditi e ricevuti, da ciò scaturisce anche la
determinazione di attuarli, infatti, se si ama e si crede in Gesù non si può che cercare di piacergli
obbedendo alla sua Parola che libera e salva.
Il racconto della Pentecoste è negli Atti degli Apostoli, in quanto gli evangelisti narrano la vita
terrena di Gesù che termina con l’Ascensione; è Luca che oltre al suo vangelo scrive gli Atti, a
descrivere questo importante avvenimento che è proclamato oggi nella 1ª Lettura. Gli apostoli sono
riuniti nel cenacolo al compiersi del giorno di pentecoste, quel lungo giorno di 50 giorni che va
dalla pasqua ebraica sino alla festa della mietitura e in seguito, dell’alleanza, e per noi è il periodo
pasquale che inizia a Pasqua e termina con l’odierna solennità. Luca poi per descrivere la scena
prende a prestito dall’AT il linguaggio delle teofanie, manifestazioni di Dio, come quella del Sinai
dove avviene la consegna della Legge a Mosè; c’è quindi il fragore, il vento e il fuoco, e lo Spirito
Santo promesso da Gesù scende e riempie tutti dei suoi doni, tanto che parlano in altre lingue e sono
compresi dalla folla variegata che li ascolta. In senso figurato si può pensare che lo Spirito unifica il
linguaggio nell’unico che tutti comprendono, quello della carità; dalla confusione di Babele si passa
così alla fusione nella comunione. È anche questo il compito dello Spirito. L’abbiamo sperimentato
nel recente evento del Conclave, dove lo Spirito ha potentemente soffiato sui cardinali provenienti
da tutto il mondo creando comunione tra loro tanto che in breve tempo hanno trovato l’unità attorno
a Leone XIV, mentre tutta la Chiesa era in comunione con loro mediante la preghiera. Con la
Pentecoste quindi lo Spirito rende viva e operante la Chiesa, comunità dei credenti chiamata a
adempiere il comandamento della carità lasciato da Gesù ed è quello che qualifica i cristiani come
suoi seguaci.
S. Paolo nella lettera ai Romani (2ª Lettura) ci ricorda che lo Spirito di Dio abita in noi, è il
Battesimo che ci dà questa certezza, quindi possiamo vivere non secondo la carne, come l’uomo
vecchio, egoista e passionale, ma secondo lo Spirito, ossia nella vita dei figli di Dio che possono
chiamare Dio col nome di Padre, Abbà, come lo chiamava il Figlio Gesù qui in terra. Lo Spirito
Santo ha quindi il compito di guidarci nelle vie di Dio come suoi veri figli e poiché, come afferma
ancora S. Giovanni nella sua prima lettera, Dio è amore, dobbiamo amare come Lui e l’amore è
l’esatto contrario dell’egoismo. Vivendo l’amore come Dio ci ha amato e sempre ci ama, potremo
partecipare in pienezza alla vita divina ed eterna nel suo Regno di gloria dove ci ha preceduto e ci
attende il Figlio unigenito, nostro fratello. Invochiamo spesso lo Spirito quindi perché ci aiuti, ci
accompagni e ci guidi e soprattutto per accoglierlo, ascoltarlo e lasciarci lavorare da Lui, è per il
nostro bene.
Monache Benedettine SS. Salvatore Grandate